Essere nella regione più remota dell’Islanda, più selvaggia e meno battuta dai turisti, per poi decidere di andare a prendersi un caffè in uno dei locali più a nord d’Europa. Per farlo, bisogna mettersi in macchina e percorrere 80 chilometri di strada sterrata a strapiombo sul mare e a ridosso delle montagne, talvolta scalandole, affrontando cambiamenti di meteo improvvisi, nebbia e pioggia, temendo in alcuni momenti di non aver preso la decisione più saggia della vita. Poi però, rasentando tutta la costa di Strandir nei Fiordi Occidentali, a nord di Holmavik, affrontando la route 643, ti rendi conto che la fatica viene lungamente apprezzata dalla straordinarietà di visioni che appaiono lungo il percorso.
Vedi delle pecore al pascolo e dopo un paio di curve ti trovi una foca a bordo strada che si sta stirando. No, non è un miraggio, è una foca vera! Di rado appare una casa di pescatori e ti chiedi come sia possibile che vita umana viva in quel posto. Le decine di chilometri su cui si articolano questa strada rappresentano il territorio del comune meno popolato di tutta la nazione, appena 50 abitanti. Per loro però esiste un centro abitato di riferimento (di fatto quattro case su un piazzale con un piccolo porto) che porta il nome di Nordurfjordur (che in realtà si scrive Norðurfjörður).
È l’ultimo villaggio prima che la strada finisca, e con esso termina anche la civiltà. Nordurfjordur conta di una pompa di benzina, un porticciolo, un bar caffè, e un alimentari. Detto così è limitante, ma se si pensa che per decine e decine di chilometri ti sei chiesto dove caspiterina ti stessi dirigendo, adesso hai trovato forme di vita e ti senti appagato. Allora entri nel bar per goderti un po’ di riposo prima di rifare il Rally di Islanda al contrario, e ti servono la ‘torta della felicità coniugale‘, per gli amici islandesi Hjonabandssaela, e un bel caffè americano, per rimetterti al mondo e sentirti a casa.
Si riparte da Nordurfjordur, dove sopra il paese tra l’altro si trova una delle tante magiche piscine di acqua calda che si trovano in giro per l’Islanda (Krossneslaug), per rifarsi tutta la route 643 al contrario.
Ora che conosciamo la strada e abbiamo fatto amicizia con le sue possibili insidie, ci possiamo anche fermare ogni tanto per vedere le altre meraviglie della Costa di Strandir. Arnes ti incuriosisce perché, in una zona dove a livello di popolazione umana non c’è nulla (ma proprio nulla) compaiono due chiese, nello stesso punto, su due lati della strada diversi. Una antica, una modernissima. Punto interrogativo.
Poi si prosegue e si incappa nell’affascinante Djupavik. Minuscolo villaggio di pescatori di fronte al Reykjarfjörður, dove le attrazioni sono una fabbrica di aringhe abbandonata nel 1950, e ridotta a rudere di archeologia industriale, e un peschereggio spiaggiato decenni fa e che si trova sempre lì. Il fascino è dato anche dal fatto che dentro la fabbrica abbandonata spesso vengono ospitati eventi di arti visive e concerti: è gestita dalla proprietà dell’hotel, l’unico, che si trova nel villaggio, forse il più settentrionale del Paese. Spero che quando ci sono i concerti la gente alloggi in albergo, perché sfido a rifarsi tutta la 643 indietro, magari con una birra di troppo.
Djupavik è incastonata tra il Reykjarfjörður e una grande cascata che viene giù dalla montagna che domina la costa. Uno spettacolo imperdibile prima di riprendere la macchina e tornare verso Holmavik dove, per fortuna, il benzinaio ti fornisce gratis la spazzola a getto d’acqua per ridare dignità al tuo veicolo che, per un giorno, si è sentito la Subaru Impreza di Colin McRae…
I Sigur Ros suonano nella ex fabbrica di Djupavik
che spettacolo! *_*