Anno 1991: dissoluzione dell’Unione Sovietica. Anno 2018: mettere piede nell’ultima cooperativa agricola (colhoz) statale sopravvissuta all’Urss dove, nell’ufficio del presidente, campeggiano falce e martello e un grande ritratto di Nikolaj Lenin. Può capitare se ci si trova a Copceac, in Gagauzia, stato autonomo in continuità territoriale con la Moldova, che nei mesi scorsi abbiamo iniziato a conoscere con un primo approccio a Besalma. Per continuare a conoscere questa regione, e prima di dirigersi nella sua capitale Comrat, questa tappa è fondamentale per conoscere, a distanza di decenni, quel che resta dell’economia di stampo socialista.
Ci riceve il signor Nicolai Semenov, ingegnere ed ex militare navale nel Mediterraneo nella flotta russa (“Ho visto l’Italia da lontano”, ci ha detto salutandoci), presidente della cooperativa ‘La Vittoria’ (Pobeda in russo). L’ingegner Semenov è sorridente ed è solito accogliere i turisti che desiderano conoscere la sua realtà. Dopo una decisa stretta di mano ci fa accomodare nel suo ufficio nella sede della cooperativa. Simboli di falce e martello e il grande ritratto di Lenin come legame con il passato, le bandiere della Gagauzia e della Moldova sulla scrivania per segnare il presente, i ritratti dei presidenti dei due stati Irina Vlah e Igor Dodon. Va ammesso, comunque, che il ritratto di Dodon si trova posizionato ben più in basso di quello della signora Vlah…
Fino a 20 anni fa la cooperativa dava lavoro a 3500 persone, oggi ne sono rimaste 400 tra braccianti e impiegati. “Tanta gente emigra da queste terre – spiega Semenov – e quindi manca il ricambio. Va però detto che la nostra cooperativa sostituisce con un rapporto uno a uno tutti i lavoratori che vanno in pensione“. Copceac è di fatto il villaggio dei lavoratori di Pobeda, considerato che quasi tutti vivono in questo villaggio.
Quali le conseguenze di questo spopolamento? “La terra è rimasta la stessa e le persone sono meno – prosegue Semenov – quindi abbiamo dovuto modificare la nostra produzione, spostandoci soprattutto su quei prodotti che richiedono minor manutenzione. Come gli alberi da frutto, per esempio”. Ecco dunque che ai campi coltivati hanno fatto posto gli alberi, l’uva da vino si produce ancora ma in quantità minore, si punta su certi prodotti a discapito di altri. Con quale mercato? “Oltre a quello interno – risponde Semenov – abbiamo accordi di export con Arabia Saudita, Polonia, altri stati dell’Est Europa. Non con l’Italia, al momento”. Ci invita a tornare ad assaggiare il loro vino, noi rispondiamo che magari faremo a cambio con un Chianti per testare le differenze. Poi ci parla con orgoglio della raccolta delle pesche: “I nostri prodotti sono così naturali che dopo tre giorni che la pesca è caduta è già polpa. Dovete sentire a luglio il succo di pesca appena fatto”. Bene, ce lo appuntiamo. Pobeda non si occupa però di trasformati alimentari: ci aveva provato in passato ma in un paese come la Moldova molti tendono a farsi in casa quanto più possibile e senza una catena distributiva sostanziosa non ne vale la pena.
I giovani della zona che non emigrano dunque possono trovare lavoro in cooperativa, la quale non rispondendo più all’Unione Sovietica fa riferimento allo stato della Gagauzia. Tra loro anche una ragazza che, al nostro arrivo, stava festeggiando il proprio matrimonio con balli in strada di fronte alla statua di Lenin e al locale palazzo del municipio. Un matrimonio gagauzo moderno, nipote di quello ‘simulato’ che avevamo visto a Besalma.
Il retaggio sovietico resta nel nome della via principale dedicata sempre a Lenin, nel pannello dei migliori lavoratori che trova spazio all’esterno della cooperativa, l’albo dei presidenti che dal 1947, anno di fondazione di Pobeda, si sono succeduti fino a oggi. Per un’esperienza sovietica rurale che si rispetti però bisogna anche assaggiare i prodotti: per questo ci dirigiamo verso una cascina in campagna arredata per il matrimonio appena visto in paese. Un tavolo viene liberato appositamente per noi e bandito con polpette, zuppa, riso, carne e succo di pesca da bere. Purtroppo non è stato possibile pranzare con i lavoratori ma almeno abbiamo visto alcune di loro all’opera mentre cucinavano e preparavano il banchetto nuziale.
E dopo questo tuffo nel passato, siamo pronti per riprendere la strada verso nord e andare nella capitale della Gagazia, Comrat, guidando tra campi verdi e gialli che sembrano quadri di Piet Mondrian. Ma questo ve lo spiego in un altro articolo.
(Si ringraziano per l’articolo Cristina Rus e Ivan Marchisio)
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